Condizionale d’obbligo per una vicenda che arriva dagli States e ha davvero dell’incredibile. In una clinica equina del Texas, 21 cavalli hanno dovuto essere sottoposti a eutanasia dopo essere stati contagiati dall’anemia infettiva mentre si trovavano ricoverati.
Il caso è arrivato fino al Texas Board of Veterinary Medical Examiners che ha predisposto la sospensione temporanea della licenza per Joshua Harvey, il veterinario fondatore della clinica.
Secondo un’indagine condotta dal United States Department of Agriculture’s Animal and Plant Health Inspection Service (USDA-APHIS) almeno uno o più persone in forze alla struttura avevano l’abitudine di riutilizzare aghi, o siringhe per prelevare e lavare i cateteri endovenosi con soluzione fisiologica nell’unità di terapia intensiva. Pratica che sarebbe all’origine dei ripetuti casi di contaminazione.
Dei 22 cavalli che avrebbero contratto l’anemia infettiva presso la struttura, un solo proprietario si sarebbe assunto l’onere di non sopprimerlo e tenerlo in quarantena per il resto della sua vita. Tutti gli altri hanno accettato la procedura più diffusa per contenere il diffondersi del contagio che prevede, purtroppo, l’eutanasia.
Il provvedimento e le accuse
Severissima la reazione del Texas Board of Veterinary Medical Examiners che sul dr. Harvey ha, come si dice, aperto il libro.
Pare infatti che Harvey fosse già da tempo nel mirino del board che avrebbe sancito una serie pesantissima di accuse a suo carico.
Dopo trascorsi poco lineari in Kansas e Arkansas, già depositario di quattro provvedimenti disciplinari in Texas, Harvey avrebbe lasciato operare all’interno della propria struttura personale non autorizzato sul territorio dello stato del Texas alla pratica della professione veterinaria. Inoltre avrebbe compiuto degli illeciti nella prescrizione di farmaci, omesso controllo sui suoi dipendenti, perfino esercitato la professione sotto l’effetto di alcol e avuto una condotta molesta nei confronti di una collaboratrice che l’avrebbe poi denunciato.
Diritto di replica
Mentre il provvedimento nei confronti di Harvey segue l’iter di legge, la clinica dove si sarebbe verificato il contagio rimane però aperta. E, via social, i dipendenti hanno voluto esprimere la propria solidarietà fornendo una ‘fotografia’ assai diversa del veterinario sospeso.
“La visione, la leadership e l’incessante passione del dottor Harvey per la cura degli equini hanno costruito più di lavoro: hanno costruito una famiglia. Una famiglia di veterinari, tecnici, personale e clienti uniti da una missione condivisa di cura del paziente, compassione e rispetto per ogni cavallo che entra dalla nostra porta. Percorreremo tutte le vie legali e professionali disponibili per reintegrare il dr. Harvey nella pratica della medicina veterinaria equina. Crediamo nel suo carattere, nelle sue capacità cliniche e nella sua dedizione decennale all’industria equina e continueremo a stare al suo fianco mentre lavoriamo attraverso i canali appropriati”.
Mentre gli umani dibattono tra i condizionali di forma, tesi e antitesi di un caso di malpractice, il nostro pensiero va solo ai 21 cavalli sottoposti a eutanasia e a chi li piange. E soprattutto a quell’unico proprietario coraggioso che ha invece scelto di tenere comunque in vita un cavallo di cui sarà l’unico compagno.